SARA PESCE

Il discinto e il glamour. I costumi di Anna Magnani nella messa in scena del corpo maturo

In Mamma Roma (Pasolini, 1962) un dialogo tra Ettore e Bruna fa esplicita menzione dell'età della protagonista: Roma ha circa 43 anni e Bruna osserva con enfasi che è una bella donna. Impersonata da una Anna Magnani di 54 anni, la madre pasoliniana porta infatti sullo schermo una maturità femminile socialmente desiderabile, anche quando è affiancata ad altre figure femminili anagraficamente giovani, come la prostituta Biancofiore. Stephen Gundle afferma che negli anni Quaranta la Magnani "rappresentò un modello diverso sia dai tradizionali modelli cattolici che dalle immagini sensuali e fascinose propinate da Hollywood". All'inizio degli anni Sessanta questo modello, messo alla prova del tempo da Pier Paolo Pasolini, muta per effetto delle vicende divistiche dell'attrice. Con Roma città aperta ella divenne, "con i suoi scarmigliati capelli corvini e le vesti discinte, il simbolo delle donne del popolo che si trovano spinte in prima linea dagli eventi della guerra" (Gundle). Le vesti discinte rimangono a lungo un tratto caratterizzante i suoi personaggi più emblematici, al di qua e al di là dell'oceano (si pensi a Bellissima e a La rosa tatuata), fino a scomparire nel nuovo decennio, rievocate altrimenti come memoria spettatoriale. Nel passaggio dagli anni Cinquanta agli anni Sessanta i costumi indossati dall'attrice appaiono come un elemento di rinegoziazione del modello-Magnani.

Si propone quindi una lettura dell'uso da parte di Anna Magnani del vestito come mezzo per contrastare significati dominanti riguardo all'età matura (J.Twigg) (in particolare gli effetti dell'età sulla desiderabilità e sulla declinazione di un corpo sexy). Se Roma può essere vista dagli altri personaggi e dal pubblico come campionessa di uno "stylish mode of ageing" (P.Church Gibson), questo stile ha caratterstiche peculiari rispetto a modelli hollywoodiani dello stesso periodo e a dive che sono state in competizione con Magnani per il podio degli Oscar. Lo stile vestimentario della Magnani in questo film non corrisponde allo sforzo di restare o sembrare giovane. Sono assenti strategie di nascondimento o copertura, o un modello di bellezza senza tempo. Si tratta invece di incorporare gli elementi dell'abbigliamento nelle fattezze fisiche e psicologiche del personaggio. Un camminare dentro i vestiti rendendoli plastici, un riferirsi alle scarpe con i tacchi alti come parte dell'azione e della motivazione del personaggio. E' un muoversi allo scopo di mostrare il vestito guadagnato con gli sforzi di una vita (sia di Roma, sia dell'attrice) e perciò esposto come trofeo. Il vestito è in Mamma Roma patrimonio e capitale culturale. In questa significazione della Madre attraverso l'abito ha un ruolo importante il lavoro dei costumisti hollywodiani che hanno contribuito a declinare il corpo della Magnani come quello della diva internazionale (la riscrittura dell'abito discinto da parte di Edith Head in La Rosa Tatuata; i costumi della stessa Head che compongono la Magnani in uno stile middle-class in Selvaggio è il vento; gli elementi glamour dei costumi di Frank Thomson in Pelle di serpente). In questo Magnani porta sullo schermo i propri dati biografico-artistici: la sua parabola glamour, l'Oscar. Ma anche i significativi riflessi del modo di vivere la moda negli anni Cinquanta: il portare un vestito come segno di nuove competenze femminili del sé, impugnate consapevolmente dalle donne nella presentazione di sé pubblica, l'emergere delle modelle come personalità celebri(si pensi alle camminate notturne di Roma, che rievocano una passerella di moda). Proprio perché il film vuole cogliere un passaggio culturale da "quel momento aurorale della corporeità postbellica rappresentato dagli anni Cinquanta" (P.Colaiacono) a comportamenti piccoloborghesi, animati da pulsioni imitative - cogliere la trasformazione dei corpi in incarnazioni di tipologie - Pasolini lascia alla Magnani un'autonomia d'azione riguardo al vestiario (compreso l'uso di una parrucca) così come al corpo.

BIO:

Sara Pesce è professoressa associata presso il Dipartimento delle Arti dell’Univesità di Bologna. Si occupa di studi sull’attore in ambito anglo-americano e di studi sulla celebrità (ed è co-fondatrice di un network di ricerca sulla celebrità in Italia: Italian Research Network on Celebrity Culture). Si è occupata di studi sulla memoria nell’ambito cinematografico e audiovisivo in senso ampio. Nel 2005 pubblica Dietro lo schermo. Gli immigrati ebrei che hanno inventato Hollywood (1924-1946), nel 2008 Memoria e immaginario. La seconda guerra mondiale nel cinema italiano, nel 2007 è curatrice e autrice di un’opera sul melodramma cinematografico: Imitazioni della vita. Il melodramma cinematografico. E' autrice di un libro sull’attore britannico Laurence Olivier (Laurence Olivier nei film. Shakespeare, la star, il carattere, Recco, Le Mani, 2012). Nel 2016 è curatrice e autrice di un volume su temporalità, memoria e forme paratestuali nel mediascape contemporaneo (Pecse-Noto (a cura di), The Politics of Ephemeral Digital Media. London, New York, Routledge, 2016)