MARIO GALEOTTI

Amedeo Nazzari e Anna Magnani, il gangster dal cuore buono e la femme fatale. Forme e caratteri del noir hollywoodiano nella Torino postbellica del film "Il bandito" di Alberto Lattuada


Nella cinematografia italiana dell'immediato secondo dopoguerra, prima che si affermasse nuovamente una produzione strutturata per generi, alcuni dei film italiani più ambiziosi e artisticamente validi, gravitanti attorno all’ampia definizione di neorealismo, presentavano schemi e situazioni mutuati in maniera inequivocabile dal cinema hollywoodiano, già un imprescindibile modello di riferimento per il cinema del periodo fascista.

La Torino postbellica del film di Alberto Lattuada Il bandito (1946), ad esempio, è una città immersa in atmosfere da gangster movie e i due protagonisti, Amedeo Nazzari nel ruolo di Ernesto e Anna Magnani in quello di Lidia, incarnano modelli umani di chiara provenienza americana. La tragica realtà dell’Italia del dopoguerra, dunque, è racchiusa in una cornice narrativa e figurativa che appartiene all’artefatto universo di Hollywood e dove, come ha osservato Roberto Campari, similmente al poliziesco americano “prevalgono gli interni o gli esterni notturni, ben illuminati dalla fotografia di Aldo Tonti”. La sceneggiatura porta le firme, tra gli altri, di Oreste Biancoli, Tullio Pinelli e dello stesso Lattuada, autore del soggetto.

Ernesto è un reduce di guerra che torna nella sua città, Torino, cumulo di macerie. Scoperto per caso che sua sorella Maria, impoverita dalla guerra, si concede in una casa di appuntamenti, l'uomo insiste affinché la ragazza si redima e non esita ad affrontare a muso duro il suo protettore. La discussione degenera e un accidentale sparo colpisce a morte Maria. Accecato dalla rabbia, Ernesto si getta ferocemente sull’avversario e lo uccide. Poi fugge, per sottrarsi alla giustizia. Le intense immagini della colluttazione, ispirate al clima cupo del cinema noir e ai suoi suggestivi chiaroscuri, prefigurano la svolta esistenziale del protagonista, che, dopo il fattaccio, si trasforma in romantico bandito capo di un’organizzazione criminale. “La comunicazione di un mutamento avvenuto nel protagonista” ha scritto Claudio Camerini, “prelude a un cambiamento di registro nel film, che da questo momento si muove nel solco tracciato dalla gangster story, tenendo presente in più di un momento il modello di Scarface”. A questo punto entra in scena lei, Anna Magnani, calata magnificamente nella parte della seduttrice tipica dei film di gangster, presentandosi in veste di provocante vamp, con costumi che si inseriscono appieno nella tradizione iconografica hollywoodiana: decolleté, vistosi cappelli e vestaglie ricche di piume.

Analizzando l'interpretazione della Magnani nel film Il bandito, questo contributo si propone di mettere in luce un modello di femminilità provocante e distruttiva di derivazione hollywoodiana, relazionandolo ad altri ruoli cinematografici dell'attrice. Inoltre, vengono citati anche alcuni aneddoti sulla lavorazione del film e i suoi retroscena, con episodi di nervosismo della diva nostrana: un aspetto che può essere accostato, con le dovute differenze, ai capricci delle stravaganti dive hollywoodiane ?

BIO:

Dottore di ricerca in “Le società europee e le Americhe in età contemporanea”, titolo conseguito presso l'Università degli Studi di Genova, ha pubblicato diversi articoli di storia del cinema e dello spettacolo e ha una lunga esperienza nel settore degli audiovisivi. E' autore di alcune monografie: "Dino l'amico italiano. Vita e carriera di Dean Martin" (Falsopiano 2017), "Immagini e presenze americane nel cinema italiano" (Europa Edizioni, 2018), "Grande Tony. Little Tony, storia matta di un cuore rock" (Arcana, 2018). Altri libri sono in fase di pubblicazione. Di recente ha avviato una collaborazione con le riviste Carte di Cinema, Inside the Show, Storia e memoria.